Anna Li Vigni Il Sole 24 Ore 7/8/2011

Jean-Baptiste Botul, «La vita sessuale
di Kant», traduzione di Emanuela Schiano Di Pepe, introduzione di Frédéric Pagès, Il Melangolo, Genova, pagg. 92, € 8,00

«Per me, la vita sessuale di Kant è una delle questioni più importanti della metafisica occidentale». Questa è la tesi, tanto irriverente quanto divertente, di Jean-Baptiste Botul (1896-1947), filosofo francese snobbato in patria, le cui idee furono tramandate solo oralmente. Analizzando le coercizioni – fisiche e non – che il filosofo di Königsberg imponeva a se stesso pur di mantenersi casto fino al fanatismo, sarebbe infatti possibile interpretare il suo pensiero in senso metaforico, come un voyeuristico «guardare sotto la gonna della Realtà» ovvero della Cosa in sé.
La vita sessuale di Kant, oggi in traduzione italiana a cura di Emanuela Schiano Di Pepe, è una trascrizione di alcune lezioni tenute da Botul in Paraguay, a Nueva Königsberg, una fantomatica colonia di tedeschi emigrati la cui vita era improntata a una pignola imitazione delle ossessive abitudini quotidiane di Immanuel Kant, compresa la tradizionale passeggiata postprandiale fino al campanile cittadino. Non manca la castità assoluta, una pratica che contraddice l’aspirazione all’universalità propria del pensiero kantiano: se infatti tutta l’umanità si astenesse dal sesso – così come faceva Kant – sarebbe destinata all’estinzione. Ma per il filosofo le cose stanno diversamente. Egli deve difendere le proprie facoltà dall’aggressione delle passioni. Deve tenersi al riparo dagli insostenibili doveri matrimoniali, che tolgono tempo allo studio. Deve infine stare attento a non disperdere il proprio seme, affinché esso possa poi trasformarsi in energia spirituale.
Kant sostiene sì che «ogni organo del corpo umano esiste con una funzione precisa, che deve essere esercitata»; e tuttavia ciò vale solo per l’uomo comune, non per il filosofo, che anzi deve esercitare su se stesso e sui suoi organi la più vigile disciplina. «Dove parla la legge morale non resta alcuna libertà nella scelta di ciò che si deve fare». Ed è così che, facendosi brutalmente svegliare al mattino dal grido della legge morale, cioè dal domestico Lampe, Kant evitava di indugiare tra le coperte, lasciando che pensieri lascivi potessero contagiarlo. Consiglio che egli offre alla gioventù dedita al vizio della masturbazione. Per non parlare del suo strano modo di mettersi a letto la sera, forse per ridurre il suo “raggio d’azione” erotico: «Scivolava dentro al letto, poi tirava un lembo della coperta al di sopra di una spalla, dietro la schiena, fino all’altra spalla, sotto di lui e sulla pancia, … avvolto come in un baccello». Ma, nelle descrizioni che ne danno i suoi biografi, Kant appariva tutt’altro che un uomo borioso: era spesso invitato a desinare presso case della buona società dove, presentandosi in abiti eleganti, apprezzava il buon cibo e animava la conversazione con le sue conoscenze enciclopediche. Ebbe anche una corteggiatrice insistente. Marie-Charlotte Jacobi nel 1762 gli inviò un bigliettino galante: «Mio caro amico, confido nella vostra compagnia domani pomeriggio… vi aspetto e darò corda al mio orologio». L’espressione «dare corda all’orologio» Botul la spiega con la maliziosa tesi delle “calze di Kant”.
Per evitare di usare le giarrettiere, che avrebbero impedito la circolazione sanguigna nelle gambe, il filosofo – arcinoto anche per la sua ipocondria – aveva messo a punto un sistema che permetteva al filo reggicalze di aderire alle cosce mediante la catena di un orologio che egli recava in mano e che gli avrebbe consentito di tirare e allentare le calze a piacimento. Un geniale escamotage di cui Marie-Charlotte sapeva? Nessuno conosce la risposta. Nemmeno lo stesso Botul. Per la semplice ragione che Jean-Baptiste Botul non esiste. È un personaggio satirico immaginario, inventato dall’intellettuale francese Frédéric Pagès, per colpire la pedanteria dell’accademia francese. Quei burloni degli «Amici di Botul» (www.botul.free.fr) hanno addirittura istituito un premio per coloro che citano Botul nei loro saggi, pensandolo un filosofo reale. I filosofi kantiani indignati, dunque, non avranno proprio con chi prendersela.

«Per me, la vita sessuale di Kant è una delle questioni più importanti della metafisica occidentale». Questa è la tesi, tanto irriverente quanto divertente, di Jean-Baptiste Botul (1896-1947), filosofo francese snobbato in patria, le cui idee furono tramandate solo oralmente. Analizzando le coercizioni – fisiche e non – che il filosofo di Königsberg imponeva a se stesso pur di mantenersi casto fino al fanatismo, sarebbe infatti possibile interpretare il suo pensiero in senso metaforico, come un voyeuristico «guardare sotto la gonna della Realtà» ovvero della Cosa in sé.
La vita sessuale di Kant, oggi in traduzione italiana a cura di Emanuela Schiano Di Pepe, è una trascrizione di alcune lezioni tenute da Botul in Paraguay, a Nueva Königsberg, una fantomatica colonia di tedeschi emigrati la cui vita era improntata a una pignola imitazione delle ossessive abitudini quotidiane di Immanuel Kant, compresa la tradizionale passeggiata postprandiale fino al campanile cittadino. Non manca la castità assoluta, una pratica che contraddice l’aspirazione all’universalità propria del pensiero kantiano: se infatti tutta l’umanità si astenesse dal sesso – così come faceva Kant – sarebbe destinata all’estinzione. Ma per il filosofo le cose stanno diversamente. Egli deve difendere le proprie facoltà dall’aggressione delle passioni. Deve tenersi al riparo dagli insostenibili doveri matrimoniali, che tolgono tempo allo studio. Deve infine stare attento a non disperdere il proprio seme, affinché esso possa poi trasformarsi in energia spirituale.
Kant sostiene sì che «ogni organo del corpo umano esiste con una funzione precisa, che deve essere esercitata»; e tuttavia ciò vale solo per l’uomo comune, non per il filosofo, che anzi deve esercitare su se stesso e sui suoi organi la più vigile disciplina. «Dove parla la legge morale non resta alcuna libertà nella scelta di ciò che si deve fare». Ed è così che, facendosi brutalmente svegliare al mattino dal grido della legge morale, cioè dal domestico Lampe, Kant evitava di indugiare tra le coperte, lasciando che pensieri lascivi potessero contagiarlo. Consiglio che egli offre alla gioventù dedita al vizio della masturbazione. Per non parlare del suo strano modo di mettersi a letto la sera, forse per ridurre il suo “raggio d’azione” erotico: «Scivolava dentro al letto, poi tirava un lembo della coperta al di sopra di una spalla, dietro la schiena, fino all’altra spalla, sotto di lui e sulla pancia, … avvolto come in un baccello». Ma, nelle descrizioni che ne danno i suoi biografi, Kant appariva tutt’altro che un uomo borioso: era spesso invitato a desinare presso case della buona società dove, presentandosi in abiti eleganti, apprezzava il buon cibo e animava la conversazione con le sue conoscenze enciclopediche. Ebbe anche una corteggiatrice insistente. Marie-Charlotte Jacobi nel 1762 gli inviò un bigliettino galante: «Mio caro amico, confido nella vostra compagnia domani pomeriggio… vi aspetto e darò corda al mio orologio». L’espressione «dare corda all’orologio» Botul la spiega con la maliziosa tesi delle “calze di Kant”.
Per evitare di usare le giarrettiere, che avrebbero impedito la circolazione sanguigna nelle gambe, il filosofo – arcinoto anche per la sua ipocondria – aveva messo a punto un sistema che permetteva al filo reggicalze di aderire alle cosce mediante la catena di un orologio che egli recava in mano e che gli avrebbe consentito di tirare e allentare le calze a piacimento. Un geniale escamotage di cui Marie-Charlotte sapeva? Nessuno conosce la risposta. Nemmeno lo stesso Botul. Per la semplice ragione che Jean-Baptiste Botul non esiste. È un personaggio satirico immaginario, inventato dall’intellettuale francese Frédéric Pagès, per colpire la pedanteria dell’accademia francese. Quei burloni degli «Amici di Botul» (www.botul.free.fr) hanno addirittura istituito un premio per coloro che citano Botul nei loro saggi, pensandolo un filosofo reale. I filosofi kantiani indignati, dunque, non avranno proprio con chi prendersela.


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Jean-Baptiste Botul, «La vita sessuale
di Kant», traduzione di Emanuela Schiano Di Pepe, introduzione di Frédéric Pagès, Il Melangolo, Genova, pagg. 92, € 8,00